Il Maestro

Il Maestro. Le quattro stagioni di Nils Liedholm.
Dove si racconta della più lunga militanza di un campione nel cuore della storia rossonera (1949-1987)

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Lo chiamavano “Barone”. Era un modo per indicarne la distinzione e l’eleganza non convenzionale dei suoi modi. Pare che il soprannome sia nato negli anni romani, quelli della metà degli anni Settanta. A suo dire, quando giocava e allenava al Milan era chiamato il “Conte”. Dopo cinquant’anni di Italia, parlava ancora un italiano zoppicante, con declinazioni e concordanze approssimative.
Ma forse era più un vezzo pigro. Il suo logos correva chilometri più veloce di chi lo intervistava. Spesso dialogare con lui era spiazzante. Si sa che l’uso dell’ironia nel calcio, allora come adesso, è merce rara. In un’intervista una volta disse di avere una qualità: quella di non dire mai bugie; e allo stesso tempo un difetto: quello di non riuscire a farlo credere. L’ironia, e l’autoironia, erano suoi strumenti quotidiani di lavoro. Era solito enunciare memorabili iperboli con una flemma e un’imperturbabilità che non induceva a repliche: «Una partita ho tocato solo tre volte palla: ma ogni volta l’ho tenuta per 20 minuti». E paradossi, come quando rispondeva a chi gli domandava come avesse riorganizzato la squadra dopo l’espulsione di un suo uomo: «Semplice: in deci se ioca melio». Azzardava paragoni improbabili tra calciatori del passato e suoi giocatori: disse di Francesco Mandressi, giovane riserva del Milan dello scudetto, che gli ricordava il Johann Rensenbrink dell’Ajax di Cruijff e di Roberto Scarnecchia, con lui alla Roma e poi al Milan, che era simile a Ivica Suriak, geniale campione della Jugoslavia. Nella sua tavola comparativa, che sospettiamo avesse anche un preciso uso motivazionale, Nela diventava Cervato, Marangon Masopust, Valigi Giresse. 
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L’ultimo Liedholm era un saggio e sereno signore che si è ritirato a fare il vino sulle colline del Monferrato, a Cuccaro. Aveva avviato l’attività fin dai primi anni Settanta e poi l’aveva trasmessa al figlio Carlo, che la continua oggi con dedizione e successo. Nel 1968 aveva sposato, lui “Conte” (non ancora “Barone”) una vera contessa piemontese, Maria Lucia Gabotto di San Giovanni. Insieme formavano una coppia da cinematografo, anche in età assai avanzata. Facevano ginnastica tutti i giorni perché, quando l’aveva conosciuta, una delle prime cose che Nils le disse fu: «Noi svedesi abbiamo inventato la ginnastica».
Aveva già ottant’anni e confessava che, d’estate, quando tornava a Valdemarsvik, continuava a giocare a calcio coi suoi vecchi amici, o almeno quelli che erano rimasti, due o tre. E giocavano a fare gol calciando dalla bandierina del calcio d’angolo. In una delle ultime interviste rilasciate a Luigi Garlando, della Gazzetta dello Sport, si diceva soddisfatto: «L' ultima volta ho fatto due gol da destra e due da sinistra».